Sporadicamente nell’universo Nba vengono fuori dei personaggi che, come direbbero gli americani “Stand Out”, non c’entrano con gli altri, trascendendo quello che è il semplice concetto di “Professionista nel far rimbalzare un pallone”. Personaggi iconici, leggendari, capaci di abbattere le barriere dettate da un ruolo che gli è stato irrimediabilmente cucito addosso, quello di semplice star Nba; elevandosi invece a quello di Monumento in carne ed ossa per un’intera comunità. Chi fa certamente parte della medesima categoria è tale Vince Carter, un predestinato, per diritto naturale e di sorte.

 

Carter ha stravolto, irrimediabilmente la cultura sportiva di un intero stato, quello del Canada, riuscendo sostanzialmente a far comparire sulle mappe Nba il nome  di Toronto, città di cui parecchi appassionati Nba ignoravano persino la reale ubicazione. Esiste una Toronto, A.V (Prima di Vince) e D.V (Dopo Vince), quando si parla di cultura cestistica. Il basket era sostanzialmente ignorato, snobbato dalla gente della nazione con la  foglia d’acero. Il palazzetto dei Raptors era perennemente semi vuoto e l’interesse intorno alla franchigia scarseggiava a dir poco. Fino all’arrivo di sua maestà Vince.

 

Finalmente Toronto aveva la sua stella, la sua icona e, avrebbe potuto sperare, forse, in un minimo di visibilità in più. Le partite dei canadesi venivano trasmesse raramente in Tv nazionale e gli introiti provenienti dai diritti televisivi dei Raptors erano i più irrisori di tutta la lega. Ma un uomo solo stravolse questa tendenza. Da prima somministrando polvere di stelle proveniente direttamente dal cosmo a tutto l’universo Nba, vincendo lo Slam Dunk Contest più entusiasmante di tutti i tempi, poi facendo diventare i Raptors una squadra da post season e che poteva giocarsela con tutti.

 

A inizi anni 2000′ la notorietà di quello che venne soprannominato Air Canada, era fuori controllo. Non c’era Canadese che non lo conoscese, o bambino che non sognasse di emulare le sue gesta; la risposta alla classica domanda “Cosa vuoi essere da grande”, era “Voglio essere Vince Carter“.
Ma come tutte le ere, anche questa era destinata ad avere una fine. Cambia l’apparato societario ai Raptors, Vince non va d’accordo con C’Olangelo, il nuovo Gm, che lo manda ai New Jearsy Nets in cambio sostanzialmente di nulla. Furono anni difficili per l’ex Air Canada.  Da tutti etichettato come un traditore, un ciarlatano, Vince non si nascose mai dietro  a nulla, mai fece mistero del fatto che sa avesse avuto un’ scelta, non avrebbe  lasciato la propria patria di adozione. Ma la gente a volte è malevola, senza riconoscenza e questo Carter lo ha imparato a sue spese, vivendo la trasferta in Canada con vero e proprio disagio interiore.

 

Da qualche anno a questa parte tuttavia le cose hanno avuto un’insperata evoluzione. 2014, Vince militava nei Grizziles, avversari i Raptors. Per la prima volta, dopo il suo addio, l’Air Canada Centre gli tributava un’ovazione e un sentitissimo applauso. Tutto il palazzetto è in piedi e lo invoca, Vince non trattiene le lacrime, non può non lasciarsi cogliere dalla commozione. Quello che non aveva mai smesso di essere l’Air Canada, aveva finalmente fatto pace con il demone denominato passato e, soprattutto con la Sua gente, con la Sua gente adorata. Parecchi di quei tifosi erano cresciuti con lui, con quello che aveva rappresentato, ed è come se tutti, contemporaneamente, si fossero resi conto di che segno indelebile quest uomo abbia inciso a fuoco sulla loro vita e sul loro modo di vivere la pallacanestro.

Vince Carter in lacrime all’Air Canada Centre

Lunga vita e carriera a Vince Carter, un Totem, la cui effige rimarrà sempre incastonata, come una gemma nella memoria di chiunque lo abbia mai visto vibrarsi in volo, con le nike che divenivano alate, con Vinsanity che divenuto Ermes, volando ed impattando al  ferro comunicava idealmente con le divinità dell’Olimpo.

 

Giovanni Fede