Travagliata, confusionale, a tratti monocromatica. Di aggettivi per descrivere la prima stagione di LeBron James ai Lakers ne possiamo trovare tanti, oltretutto ridondanti ai fini del senso comune.  A biglie ferme si possono tirare però, se non altro, le prime somme di questa.

Se è vero che il sole non ha illuminato le partite allo Staples Center vestito di gialloviola è pur inopinabile che le prime basi per un progetto a lungo termine siano state fissate: l’aggiunta di veterani alla squadra ha dato una dimensione diversa al loro assetto fra la stagione precedente e quella attuale, nonostante l’età media del roster si aggiri fra il 26.1 ed il 26.8. assetto che vede cambiare le figure dei veterani: Rondo, Stephenson e McGee sono state le pedine low-cost richieste da James per questa stagione ed ora, ma solo ora forse, capiamo le sue intenzioni.

LeBron non ha mai avuto in testa di raggiungere le Finals o di provare a disturbare lo strapotere di Rockets e Warriors al suo primo anno in maglia Lakers, in quanto sa che a disposizione ha avuto un roster (specialmente il quintetto) formato da ragazzi giovani ed ancora inesperti, vedi Ball e Kuzma. E’ chiaro che il talento alla squadra non manca, ma forse la scintilla che voleva far scoccare il nativo di Akron era ben altra rispetto alle apparenze: ha cercato di instillare nella squadra una mentalità vincente.

Concetto strano, quello di mentalità vincente: ha molte vie per essere intrapreso, ma mai si allontana da sforzi, duro lavoro ed esperienza. LeBron, ai suoi Lakers, voleva insegnare esattamente questo. ”Non sarà facile giocare per me, pochi ci riescono: ma una volta che apprendete la capacità di poter convivere nel mio stesso spogliatoio, si farà sul serio”. LeBron è anche questo, ciò che per tanto tempo ha confermato sempre di essere, ovvero una mente sopraffina. Pensa basket, ragiona basket e capisce il basket in tutte le sue forme, dunque è lecito che si voglia circondare di giocatori che sappiano stare al suo passo per intraprendere un certo tipo di percorso.

Anche questo potrebbe non essere un ragionamento semplice: pensiamo ai tantissimi campioni che, con le loro possibilità cestistiche di livello assoluto, si sono rovinati una carriera con scelte poco intelligenti. James sa perfettamente che, a 33 anni, la sua carriera è arrivata ad una maturazione fondamentale; può saper invecchiare bene tanto quanto il vino ma il tempo passa inesorabile per tutti, non lasciando scampo. Il suo chilometraggio poi, essendo passato dalle High School all’NBA è semplicemente pauroso e, corpo statuario o non, si sarà voltato alle spalle per capire ciò che è stato e ciò che poteva essere.

Ed è qui che vedi il campione.

Ha semplicemente scommesso su di lui, senza perderci nulla. Si è dato un’ultima occasione di brillare con una maglia storica che da tanto tempo sembra priva di gioie, Non vuole rimpiazzare Kobe Bryant nei cuori dei tifosi bensì vuole percorrere la sua strada, puntando sul talent, suo e dei ragazzi che segue e supporta nella squadra. Assolutamente un ragionamento non da poco. Quando si è definito More Than An Athlete” il suo impegno socio-politico è stata solamente la ciliegina sulla torta di una carriera incredibile, costellata anche da prese di posizione intelligenti e di scelte che lo hanno portato ad essere ciò che è oggi.

Non soffermatevi sui record, minimizzano l’abnegazione all’impegno di un ossessionato del Gioco, non soffermatevi neanche sui dibattiti tra lui, Jordan, Kobe o Chamberlain su chi sia il più forte, la teoria delle finali perse non macchia minimamente l’uomo e tantomeno la persona che è LeBron Raymone James.

Ma soprattutto, non soffermatevi sui Los Angeles Lakers: loro, molto probabilmente, hanno appena cominciato a far sul serio.