Arrivati alla pausa per il tanto atteso All-Star Game di Chicago, è arrivato anche il momento per fare un resoconto generale della situazione a Est, per vedere chi ci ha sorpreso e chi invece sta deludendo le aspettative iniziali.

Cominciamo dalla squadra che sta dominando, per il secondo anno consecutivo, la Eastern Conference, ovvero i Milwaukee Bucks, che hanno un record di 46-8, il migliore della lega.

Dopo l’aver sfiorato le finali NBA lo scorso anno, la dirigenza ha deciso di confermare tutto il roster, fatta eccezione per Brogdon. Questa mossa si sta rivelando decisiva.

I giocatori ormai si conoscono benissimo, sanno come muovere la palla in attacco, sanno difendere di squadra. Insomma, questa squadra ha tutto per arrivare fino in fondo.

Può puntare al titolo perché hanno il miglior attacco e la miglior difesa della lega (119.6 punti fatti di media, quest’anno hanno sempre superato i 100 punti, mentre il defensive rating è di 101.7) e perché per loro non fa differenza se giocano in casa oppure fuori (25-3 il record casalingo, 21-5 quello esterno).

Giannis, poi, sta giocando da Dio, e il favorito al titolo di MVP è ancora lui. Se riuscirà a vincerlo, sarà, insieme a Steve Nash, l’unico cestista non americano della storia ad aver vinto l’MVP per due anni consecutivi.

Ma questa squadra sa andare anche oltre il greco, perché per vincere bisogna che anche gli altri facciano la loro parte.

Milwaukee, con ogni probabilità, terminerà la regular season al primo posto come lo scorso anno, probabilmente con un numero di vittorie ancor più alto (l’anno scorso furono 60).

Tutti si aspettavano che dietro i Bucks ci fosse Phila, e invece ci sono i Raptors campioni in carica (40-15). Nessuno si aspettava Toronto così in alto dopo l’addio dell’MVP delle ultime finali, Leonard.

Le previsioni iniziali davano la squadra di Nurse non più su del quinto/sesto posto, ma Toronto voleva dimostrare a tutti di poter competere con le big anche senza Leonard, e ci è riuscita.

Se Toronto sta andando così bene, lo deve principalmente ai suoi big three, Lowry, Siakam e VanVleet, ma anche al resto del gruppo, a partire da Boucher che finora è la vera rivelazione della squadra.

Lowry sta dimostrando di essere un leader. Nelle ultime partite giocate, quelle in cui i Raptors sono definitivamente esplosi, ha tirato col 47% dal campo e col 40% da tre.

Siakam è la vera dimostrazione che nella vita non bisogna mai darsi per vinti. Di origini modeste, Pascal è ormai una delle stelle della lega, tanto da arrivare a giocare l’All-Star Game da titolare.

Se ci fosse un titolo come miglior sesto uomo delle finali NBA, VanVleet lo avrebbe sicuramente vinto lo scorso anno. Quest’anno è titolare fisso, e ha migliorato ancor di più le sue statistiche.

Ha una media di 18 punti a partita contro gli 11 dell’anno passato, a cui vanno aggiunti 6.8 assist (3.4 l’anno scorso). Per l’MIP c’è anche lui.

Ci sono, poi, anche giocatori d’esperienza come Ibaka e Gasol, ma anche giovani come Anunoby, McCaw e, appunto, Boucher, che ha già quasi raddoppiato il numero delle partite giocate l’anno scorso.

Sono attualmente secondi a Est, ma dovranno stare attenti ai Celtics, distanti solo due vittorie. Nei tre precedenti di questa stagione, Boston ne ha vinte due, Toronto una.

La squadra di Stevens sta comunque facendo bene, sono terzi con un record di 38-16 (un anno fa era 37-21). La firma di Walker ha permesso alla squadra di liberarsi di Irving, che ha dimostrato di non essere un vero leader.

Grazie all’addio di Irving, Tatum è tornato sui livelli dei playoff 2018, Brown sta finalmente mostrando molti più alti che bassi, Theis e Kanter sotto canestro si fanno sentire – 8.2 rimbalzi di media per il turco, 6 per Theis.

Ma la vera differenza in casa Celtics al momento la sta facendo il TD Garden, dove la squadra su 28 partite ne ha vinte 23, mentre in trasferta il rendimento è un po’ altalenante (15-11 il record).

Il TD Garden, poi, si sta rivelando un fattore decisivo specialmente negli scontri diretti. Infatti, solo Toronto e Philadelphia, tra le squadre top, sono riuscite a espugnare la casa dei Celtics.

Come detto, però, in trasferta, per Boston, le cose cambiano. Tatum e compagni, infatti, in 11 trasferte contro squadre che hanno un record positivo, ne hanno vinto 4 e perse 7.

Anche i Miami Heat stanno disputando una regular season sorprendente (35-19). Sono quarti a est, davanti a Philadelphia e Indiana, e sono ottavi in quella generale.

Le previsioni iniziali, vista anche la giovane età media, davano la squadra di Spoelstra intorno alla quinta/sesta posizione, dietro a Milwaukee, Toronto, Boston e Phila.

Ma il basket, si sa, è strano e imprevedibile, ed è per questo che è lo sport più bello del mondo. Gli Heat stanno disputando una grande stagione per tanti motivi.

In primis l’arrivo di un leader nato come Butler, che ha portato molta allegria e voglia di lavorare duro in tutto l’ambiente. Poi, stanno giocando un ruolo importante anche giocatori (giovani) come Adebayo, Nunn, Robinson e Herro.

Adebayo si completa benissimo con l’ex Minnesota perché anche lui è un grande atleta, e nonostante la giovane età ha già acquisito una mentalità vincente.

Robinson è il miglior tiratore da tre della squadra e il miglior tiratore di liberi di tutta la lega (96%). Nunn e un po’ Herro, invece, sono tra i pochi che possono ancora sperare di soffiare il ROTY a Morant.

Da non dimenticare poi anche l’apporto di Dragic e l’arrivo di giocatori di esperienza come Crowder e Iguodala, che saranno sicuramente d’aiuto ai giovani della franchigia.

Sarà durante i prossimi playoff che si vedrà la vera mano di questi ultimi, perché devono dare una mano ai giovani affinché arrivino preparati alle grandi sfide.

Se poi riusciranno a difendere il quarto posto, e quindi il fattore campo, dagli attacchi dei 76ers e di Indiana – che tra l’altro hanno un calendario più complicato – allora la stagione di Miami sarà eccellente.

Il fatto di avere un gruppo giovane è, forse, il punto di forza di questa squadra, perché hanno poco da perdere quest’anno e hanno un grande futuro davanti.

Ci si aspettava un piazzamento diverso a questo punto della stagione per Philadelphia (34-21). Tutti la davano in grado di lottare per la prima posizione con i Bucks, invece è solo quinta.

Il dato che più risalta agli occhi è la differenza tra quando giocano in casa e quando giocano fuori. Nella NBA moderna, per arrivare al titolo, non puoi avere questa differenza di rendimento tra casa e trasferta.

Al Wells Fargo Center hanno perso solo due partite su 27, contro Miami e contro Dallas, e nel 2020 sono ancora imbattuti.

In trasferta invece hanno vinto solo nove partite su 28, praticamente solo con squadre che hanno un record negativo (esclusa Boston).

La perdita di Butler si sta facendo sentire. Era una figura fondamentale nello spogliatoio, perché i compagni sapevano di potersi aggrappare a lui nei momenti difficili

Oltre a questo, girano voci secondo cui Embiid sarebbe pronto a lasciare i 76ers, secondo molti perché non può coesistere con Simmons.

Nelle nove partite giocate senza Embiid per via del suo infortunio, Simmons aveva una media di 21.5 punti e 9.3 rimbalzi. Da quando è rientrato il camerunese, la sua media è scesa a 19+8.

Inoltre, il tweet di The Process dopo la vittoria sofferta contro Chicago del 9 febbraio – dove si era anche beccato col pubblico – (“o muori da eroe o vivi abbastanza a lungo da diventare cattivo”) ha scatenato molte polemiche.

Butler ha subito approfittato della situazione invitandolo a Miami, ma lo stesso Embiid ha chiuso le polemiche con un tweet dove dice di amare la città, tweet postato dopo la vittoria con i Clippers di una settimana fa.

Per cercare di inseguire il quarto posto, Philadelphia deve prima spazzare via ogni dubbio riguardo la coesistenza tra le sue due stelle, e deve anche far inserire bene Horford.

Per avere una squadra da titolo, però, serve anche una panchina forte, e i 76ers non ce l’hanno. Infatti, sono soltanto 27° per punti dalla panchina.

Subito dopo Simmons e compagni c’è Indiana (32-23). La squadra è in linea con le aspettative iniziali. Con il rientro di Oladipo coach McMillan potrà allargare un po’ le rotazioni in vista dei playoff.

Brogdon è stato preso per sostituire l’ex OKC, e lo ha fatto benissimo finora, dimostrando di sapersi adattare velocemente a un contesto nuovo.

Da sottolineare, poi, la crescita di Sabonis. Ha concluso la scorsa stagione con 14 punti di media, quest’anno è a 18.3, e la recente convocazione all’All-Star Game è il giusto premio per il tanto lavoro fatto in estate.

C’è però da migliorare l’apporto dei giocatori in uscita dalla panchina, dove finora il solo McDermott sta facendo bene (10.4 punti).

Vista la distanza rassicurante dal settimo posto, Indiana può anche pensare di insidiare la quinta posizione di Philly, distante solo

Ci si aspettava qualcosa in più, invece, da Brooklyn (25-28). La squadra di Irving
è al momento settima a Est e, a meno di sorprese, sarà settima anche al termine della regular season.

L’infortunio dell’ex Cavs si è fatto sentire molto. Dinwiddie lo ha rimpiazzato bene, viaggia a 21 di media, con 6.6 assist, ma le sue percentuali dal campo sono in calo rispetto all’anno passato (41% vs 44%).

Jordan non si è ancora calato bene nella nuova realtà. KD rientrerà l’anno prossimo, solo allora, probabilmente, vedremo i Nets lottare per le prime posizioni della conference.

Washington (20-33) e Orlando (24-31), sono al momento le uniche due squadre rimaste in lotta per l’ultimo posto buono per i playoff.

Ma i Magic hanno vinto tutti e quattro gli scontri diretti, e inoltre il calendario è decisamente più favorevole per Fournier e compagni che per i capitolini.

Non ci si aspettava granché all’inizio da squadre come New York (17-38), Chicago (19-36), e Charlotte (18-36), anche se queste ultime due non sono ancora troppo lontane dall’ottavo posto.

A New York ci sarà ancora da soffrire per un po’. La dirigenza non ha ancora un progetto chiaro, e i top player, ormai da anni, preferiscono evitare di firmare per l’ex squadra di Ewing.

Le speranze dei tifosi Knicks sono riposte in primis in Barrett e Randle, e poi anche sulle scelte al primo giro dei prossimi Draft.

Charlotte e Chicago stanno comunque facendo bene, considerate le prospettive iniziali, ma arrivare i playoff sarà molto dura. I Bulls hanno cinque vittorie in meno rispetto a Orlando, gli Hornets sei.

Gli Hornets hanno dovuto dire addio alla loro star Walker, al suo posto è arrivato Rozier che non è al livello del nuovo play dei Celtics. Anche qui, la dirigenza ha deciso di puntare sui giovani.

Infatti, oltre a Rozier, gli Hornets hanno acquisito da Boston una scelta al secondo giro del prossimo Draft.

Inoltre,con l’addio di Walker, Graham, Bridges e Washington hanno potuto mettersi in mostra, e lo hanno fatto benissimo.

Tutti e tre sono stati chiamati alla partita delle Rising Stars. Questi tre, quindi, rappresentano il futuro della franchigia, un futuro che si prospetta roseo.

Chicago, invece, punta si sui giovani, ma anche sui giocatori di esperienza come Satoransky, rivelazione dell’ultimo Mondiale con la Repubblica Ceca, e Young. Il calendario è tutto sommato agevole, quindi si può ancora sperare in casa Bulls.

Detroit (19-38), cedendo Drummond e Jackson, ha detto addio a ogni possibilità di giocare la postseason.

Con queste cessioni, è ufficialmente partita l’opera di rifondazione della squadra, anche perché entrambi a fine stagione saranno free agent. Tra l’altro, Detroit ha ottenuto dai Cavs anche una futura seconda scelta.

Rose sta disputando una stagione addirittura migliore di quella in cui vinse l’MVP, ma non può fare tutto da solo e Griffin rientrerà solo l’anno prossimo.

Si ha l’impressione, quindi, che prima di vedere i Pistons tornare a giocare la postseason bisognerà aspettare un bel po’.

Al penultimo posto della conference c’è la seconda squadra che ha più deluso le aspettative, ovvero gli Atlanta Hawks (15-41).

All’inizio alcuni la davano anche in grado di lottare per l’ottavo posto, visti i tanti giovani di qualità presenti in rosa. Ma sono stati proprio alcuni di quest’ultimi a deludere le aspettative.

Ci si aspettava qualcosa di più, ad esempio, da Reddish e Hunter. Il primo gioca in
media 26 minuti, e ha 9.3 punti, 3.2 rimbalzi e 1.5 assist,+/- di -5.5.

Hunter gioca 31 minuti, e ha 12.2 punti di media. Il suo defensive rating nel suo ultimo anno al college era 94.2, ora è 112.5 e il +/- è -4.8.

Ma c’è da dire che anche Young lo scorso anno partì male e poi finì alla grande, quindi i tifosi di Atlanta possono dormire sonni tranquilli.

La sensazione è che per vedere gli Hawks tornare a lottare per la postseason bisogna aspettare solo un altro anno. L’esplosione di Young e degli altri giovani del roster più l’arrivo di Capela fanno ben sperare.

Chiudiamo questo resoconto sull’andamento della Eastern Conference con la squadra che occupa l’ultimo posto, i Cleveland Cavaliers (14-40).

Per poter veramente cominciare a programmare il futuro, i Cavs devono liberarsi il prima possibile del mega contratto di Kevin Love, che percepirà ancora 90 milioni per i prossimi 3 anni.

Il giocatore, comunque, sta facendo vedere che può ancora giocare in un top team – viaggia a 17.7 di media – ma cercare di imbastire una trade con quelle cifre è a dir poco complicato.

La cessione di Henson e Knight per Drummond ha permesso ai Cavs di liberare un po’ di spazio salariale, ma le speranza per il futuro sono tutte riposte in Garland e Sexton.

Il primo, al suo primo anno in NBA, gioca in media 30 minuti, e viaggia a 12.2 punti e 3.8 assist. Tira col 39.4% dal campo. Sexton è al secondo anno, e ha una media di 19.8 punti e 2.7 assist, giocando in media 32 minuti. Da loro può partire il progetto di rifondazione della squadra.