Un’ OPPORTUNITÀ, è spesso l’unica cosa che chiediamo; poter avere una chance di farsi vedere, di crescere, di migliorare, è in assoluto uno dei lussi più preziosi che un essere umano possa richiedere. Se sei un appassionato di basket, l’opportunità che almeno una volta hai sognato, è quella di venire chiamato da una franchigia NBA, e di poter finalmente mettere piede nella lega, che è sicuramente più vicino all’olimpo piuttosto che alla terra.

Il 7 febbraio 1989, viene al mondo un maschietto alla famiglia Thomas, famiglia con residenza Tacoma, stato di Washington. Il nome del ragazzo a pochi giorni dalla nascita è ancora in dubbio, e papà James, grande tifoso Lakers, come spesso succede, si trova al bar, con i suoi amici a parlare di basket. Tra un discorso da bar e l’altro, uno degli amici lo sfida con una scommessa, se i Lakers perderanno le Finals contro i tanto odiati Detroit Pistons, il nome del piccolo in arrivo sarà Isiah, proprio come la stella dei tanto odiati rivali. Papà James non scommetterà più, perché i suoi cari giallo-viola la finale la perdettero; mamma Tina, che come spesso accade cerca di trovare il meglio anche nelle situazioni peggiori, aggiunge una “a” al nome, portando una scommessa da bar a un riferimento biblico.

Il piccolo Isaiah, non seguirà le orme del padre e la squadra del suo cuore gioca poco distante da Tacoma, tanto che a volte, quando giocano contro i Lakers ovviamente, papà James lo accompagna a vedere i mitici Seattle Supersonics. Nascere a Seattle o dintorni, deve avere un significato difficilmente comprensibile ai forestieri, perchè la gente e la città stessa sembra vivere in un mondo parallelo, più romantico e dove la cultura cestistica inebria le strade della città.

Kevin Durant con la maglia dei Seattle Supersonics

Il piccolo Isaiah sogna di diventare un giocatore e vestire la maglia dei Sonics, si hai letto bene, piccolo, perché gli anni passano ma il ragazzo non cresce, parliamo di 175 centimetri, ed è qui che ci insegna, che quando ti trovi davanti a un muro, conviene saltarlo, proprio come fa lui, quando si allaccia le scarpe e vola ai 3.05 a fare due chiacchere con la retina, si perché il ragazzo salticchia ed è dotato di un discreto atletismo.

Arriva quella, che molti penseranno essere un’opportunità, viene scelto nel 2011 alla sessantesima scelta dai Sacramento Kings, ma la realtà è che la storia non è nemmeno cominciata.

La sua vera opportunità proviene da una situazione in cui spesso i giocatori si abbattono, arriva infatti dopo essere stato ceduto dalla sua seconda squadra, i Phoenix Suns, per una scelta al Draft e poco altro, ai Boston Celtics, scaturendo il disaccordo completo del pubblico del Garden.

Il verde di Boston gli sta piuttosto bene, quasi come gli starebbe bene quello di Seattle, ed è qui che infatti esplode. La prima partita parte dalla panchina e realizza 21 punti, il Garden è in visibilio, eccola questa è un’opportunità. L’intera Boston lo ama, e lui come spesso nella sua vita, viene messo in ginocchio dal dolore; la sorella minore Chyna, muore a causa di un incidente automobilistico, e “IT”, come lo chiamano nella città sulla collina, chiama mamma e papà e piange, piange tantissimo, ma poi come di risveglio da un incubo, si ricorda che lui generalmente i muri li salta, e così farà.

La sera successiva segna 52 punti nella sconfitta contro i Washington Wizards, durante tutta la partita non dice nemmeno una parola e ogni volta che tira guarda il cielo, guarda Chyna.

La stessa stagione, il giorno del compleanno della sorella, le fa un regalo, 53 punti di cui 29 nel 4 quarto, tutti per lei, è come se la dall’alto qualcuno prenda la palla per mano e la accompagni sul fondo della retina.

Isaiah salta, salta sempre, sia i muri che gli ostacoli, tanto che un anca decide di abbandonarlo e tormentarlo di dolore. Da Boston viene scambiato, e nonostante il bellissimo passato, lo aspetta un terribile futuro, “con la valigia”, a passare da una squadra all’altra senza mai ottenere un’altra vera e propria opportunità.

Chi non conosce il mito dei mitici Seattle Supersonics? La squadra delle emozioni, nella città Regina, si beh, finché i nuovi dirigenti nel 2008, decidono di distruggere i cuori di milioni di tifosi e spostano la franchigia, che diventerà: gli Oklahoma Super… no! Oklahoma City Thunder, perché a Seattle si vive di basket e quando gli abitanti si vedono portare via un pezzo considerevole della loro storia si indignano, una città per la prima volta nella storia NBA, acquista direttamente dalla lega il nome “Supersonics”, che da oggi in poi appartiene ai cittadini, nella speranza un giorno di poter tornare a tifare alla mitica KeyArena.

Tuttavia, a Seattle, che sono sempre più convinto sia la città delle opportunità, c’è sempre una ragione per sorridere, infatti le finals WNBA vedono alzare il trofeo alle Seattle Storm, che per la 4 volta nella loro storia si consacrano campionesse. A capitanarle c’è una ragazza, o meglio una donna, Breanna Stewart, che ha subito abusi e discriminazioni fin da piccola, ma che coraggiosa e forte come la città che rappresenta, gioca il miglior basket della sua vita assicurandosi il Finals Mvp 2020.

Breanna Stewart, MVP delle finali 2020

Ora vi starete chiedendo cosa centrano queste tre storie, oppure starete ridendo pensando io abbia sbagliato ad impaginare un articolo, mescolandolo con un altro, ma non è così; infatti gira voce che una franchigia stia per raggiungere proprio la Queen City, affiancando alle incredibili Storms una squadra maschile che, si spera, porterà nuovamente in alto il mitico nome dei Sonics; vi sfido dunque a non ritenere questa un’ opportunità, così come quella che spetta di diritto al figlio di papà James e mamma Tina, che dopo un ultima operazione sembra essere guarito definitivamente e pronto a saltare nuovamente, in altissimo come le Storms, come Breanna, come i cittadini, come lo stupendo Space Needle, insomma quando si parla di alto, anzi di altissimo, non si può non vedere in queste tre storie, un’ incredibile opportunità.

Federico Buscarino