L’avventura americana vissuta da Marco Stefano Belinelli è una di quelle che fa invidia a molti.

In NBA il giocatore emiliano ha vissuto un’esperienza indimenticabile, che lo ha fatto crescere sotto tutti i punti di vista.

Il 2014 è stato senza ombra di dubbio il suo anno migliore, ma Belinelli in NBA ha vissuto tanti momenti importanti, che meritano di essere ricordati.

Esordisce in A-1 a soli 16 anni e nel giro di pochi anni si consacra tra i più grandi cestisti italiani della sua epoca.

Vince lo scudetto e la supercoppa nel 2005, mentre al Mondiale del 2006, contro gli USA, segna 25 punti, dando prova delle sue grandi qualità.

Dopo aver vinto il premio Riverberi nel 2007, decide di dichiararsi eleggibile per il Draft NBA dello stesso anno.

Viene selezionato con la 18esima scelta al primo giro dai Golden State Warriors, anche se i due anni nella baia sono tutt’altro che indimenticabili, come dichiarerà a La Gazzetta dello Sport.

Nel 2009 raggiunge Andrea Bargnani ai Toronto Raptors, ma anche qui, complice la presenza in squadra di DeMar DeRozan, gioca poco.

La prima esperienza degna di nota è quella con i New Orleans Hornets di Chris Paul.

Conclude la stagione regolare con 10.5 punti di media e con il 41% da tre. Grazie anche a lui, la squadra raggiunge la settima posizione a Ovest e così l’ex GSW gioca per la prima volta i playoff.

Nella sfida contro i Bucks mette una tripla da oltre 20 metri, prima vera grande giocata della sua carriera in NBA.

L’anno successivo decide di rimanere a New Orleans, ma subito dopo la sua firma, gli Hornets cedono CP3 ai Clippers e così le aspettative della squadra cambiano radicalmente.

Nonostante sia una delle sue stagioni migliori – gioca in media 29.8 minuti a partita – la squadra arriva ultima a Ovest.

L’anno successivo firma con i Chicago Bulls. All’inizio fa fatica a integrarsi negli schemi di Thibodeau, ma poi comincia ad essere impiegato con più frequenza.

Nella gara-7 del primo turno dei playoff contro i Brooklyn Nets segna 24 punti, dando una grande mano alla squadra nel passare al turno successivo.

Diventa, quindi, il primo italiano a raggiungere – e giocare – le semifinali di conference, dove la squadra venne eliminata 4-1 dai Miami Heat.

Per lui questi sono gli anni della definitiva consacrazione, quelli in cui ha dimostrato a tutti di poter competere con i migliori al mondo.

Ai Bulls, infatti, si rende autore di alcune delle giocate più spettacolari della sua carriera.

Nel gennaio 2013, ad esempio, contro Boston mette il tiro della vittoria a 3.1 secondi dalla fine. Si ripeterà pochi giorni dopo contro i Detroit Pistons.

Anche l’anno precedente aveva messo un buzzer beater nella sfida casalinga con i Knicks, mandando in visibilio i tifosi.

In un’intervista con Federico Buffa, spiegò tante cose sulla sua carriera, dalla notte pre-Draft passata facendo workout ai suoi primi ( e complicati) anni negli States.

Il 2013/14 è la sua stagione migliore, quella che Marco non potrà mai dimenticare.

Firma con i San Antonio Spurs un biennale, ritrovando il suo ex compagno a Bologna Manu Ginobili.

Il 2 gennaio 2014 fa registrare il proprio massimo di punti in una partita NBA, 32 contro i Knicks.

Grazie alle sue grandi prestazioni al tiro da dietro l’arco – 43% in RS – viene selezionato per la gara del tiro da tre all’All-Star Weekend di quell’anno.

Vince la gara battendo in finale Bradley Beal. L’anno successivo sarà sconfitto solo in finale da Steph Curry.

Dal punto di vista personale, è una delle sue stagioni migliori. Gioca 25 minuti di media, con 12 punti, 2.8 rimbalzi e 2.2 assist, dando una grande mano in uscita dalla panchina.

Nei playoff, come era prevedibile, il suo minutaggio cala ma riesce comunque a rivelarsi importante.

In quell’anno gioca per la prima – e unica – volta le NBA Finals, dove da il suo solito contributo in uscita dalla panchina.

Gli Spurs riusciranno ad aggiudicarsi il trofeo sconfiggendo 4-1 gli Heat campioni in carica, e Belinelli diventa il primo italiano a vincere il titolo NBA, coronando il suo sogno.

Nel corso della tradizionale visita alla White House della squadra detentrice del titolo, il presidente Obama, quando chiama l’italiano, pronuncia la frase “Who we Miss on the Bulls” (che ci manca ai Bulls).

Parole che, ovviamente, hanno fatto piacere al nativo di San Giovanni in Persiceto, e che fanno riferimento al tifo dell’ex presidente per la squadra di Chicago.

L’anno successivo si esibisce in due schiacciate spettacolari, la prima contro OKC e la seconda contro Philadelphia, la prima in faccia a Serge Ibaka, la seconda contro Henry Sims.

I due anni successivi, prima con gli Spurs e poi con Sacramento, sono complicati per l’ex Toronto. Il Beli dirà in seguito che l’anno con i Kings è stato il suo peggiore in NBA.

Nel 2016 firma con gli Charlotte Hornets, dove torna a giocare su buoni livelli, ma la squadra si classifica solo 11esima.

Nel 2017 passa agli Atlanta Hawks, dove arriva a percentuali mostruose al tiro libero (92.7%).

Viste le scarse prospettive della società, nel gennaio 2018 viene svincolato e può così firmare con i Philadelphia 76ers, squadra con ambizioni importanti.

Qui, infatti, trova una squadra che si addice perfettamente alle sue caratteristiche, e raggiunge medie mia toccate prima.

Termina la regular season con quasi 14 punti di media, e arriva a sfiorare il 50-40-90 – 49.5% dal campo, 39% da tre e 87% ai liberi.

Anche ai playoff continua a giocare molto bene. La squadra elimina senza difficoltà i Miami Heat al primo turno, ma viene stoppata al secondo turno dai Boston Celtics 4-1.

Nella gara-3 contro Tatum e compagni, l’ex Charlotte segna da tre allo scadere, mandando la partita al supplementare. Purtroppo per lui, i Celtics riusciranno comunque ad avere la meglio.

Nel luglio dello stesso anno, però, Marco decide di fare ritorno ai San Antonio Spurs, una decisione che si rivelerà errata.

Con la squadra texana firma un contratto di due anni. Ma se durante il primo anno le cose sembrano procedere tutto sommato bene, non si può dire la stessa cosa per il secondo.

Le sue medie, infatti, calano drasticamente così come il suo minutaggio.

Rimasto free agent, poche squadre lo hanno cercato, e quelle poche che lo hanno fatto gli offrivano solo un ruolo da comprimario. Da qui la sua decisione di tornare alla Virtus Bologna, lì dove tutto ebbe inizio.

Gli anni in America, comunque, non se li potrà scordare tanto facilmente. In NBA Marco ha dimostrato tutte le sue qualità e ha fatto sognare una generazione intera di ragazzini.

Si è tolto un bel po’ di soddisfazioni, non solo il titolo e la gara del tirò da tre. Si è reso autore di giocate spettacolari, facendo saltare sul divano milioni di persone.

Ha deciso di tornare in Italia perché ha capito che ormai il suo tempo nel campionato più spettacolare del mondo è finito. Alla Virtus ha l’occasione di dimostrare che non è finito.

E quindi non resta che dirgli, in bocca al lupo per questa nuova avventura, Marco.