L’abbiamo amato, l’abbiamo odiato…lo amiamo ancora ora. Definirlo un semplice allenatore è assai riduttivo, riduttivo per un uomo che ha rivoluzionato la pallacanestro americana, che ha fatto conoscere nell’oltreoceano lo stile europeo, che ha creato una vera e propria filosofia di gioco. Tutto questo può essere riassunto in due semplici parole: Gregg Popovich.

Nel 96 Popovich arriva in Texas, diventando General manager dei San Antonio Spurs. La vera svolta avviene però nella stagione 96-97, quando Gregg decide di licenziare Bob Hill, allora head coach degli Spurs, per prendere il suo ruolo: era il 14 dicembre 1996, l’inizio della dinastia dei texni che conosciamo, e che segnerà la storia di questo sport. Il suo potremmo definirlo un inizio difficile, infatti Pop si ritrovava ad allenare una squadra che proveniva da un record di 3-17. Quell’anno i texani non raggiungeranno il traguardo dei playoff, ma quella regular season è l’inizio di tutto. Quello che avviene al draft del 97 può essere considerato l’inizio di una vera e propria rivoluzione cestistica: alla prima scelta assoluta David Stern chiama Tim Duncan, scelto dagli Spurs. Da qui in poi quello a cui ogni appassionato di basket assisterà sarà qualcosa di mai visto. Tra Gregg e Tim si instaurerà subito un rapporto molto forte, un legame che li accompagnerà per molti anni, un legame che non aveva bisogno di parola tra i due, denotando la loro intesa, un’intesa che ha portato Gregg a raggiungere i playoff per anni e anni consecutivi, un legame che ha dato inizio alla dinastia.

 

Stagione 98/99, forse quella che ha segnato maggiormente Pop e definito ancor più il suo ruolo di allenatore. Forse molti ricorderanno quell’anno a causa del lockout che ha fatto sì che si rischiasse di non poter giocare la stagione, forse ricordata soprattutto per l’annuncio del secondo ritiro di Michael Jordan.

Popovich si trova ad allenare ottimi elementi, tra cui un David Robinson in fase calante, Avery Johnson, Sean Elliott e lo stesso Duncan. L’inizio della regular season da parte della squadra Texana è tutt’altro che buono (record 6-8) e negli spogliatoi si respira un’aria quasi di crisi. Pop sembra inadatto ad allenare una squadra come i San Antonio Spurs, composta da ottimi giocatori in grado di competere con le miglior franchigie NBA, eppure ancora impreparati a giocare per il titolo. Gregg sembra però smentire tutto ciò fatto all’inizio di stagione, portando la sua squadra a una serie di vittorie, una cavalcata verso la finale, vinta ai danni dei sorprendenti New York Knicks, una vittoria che ha fatto conoscere per la prima volta, a tutto il mondo del basket, il nome di Gregg Popovich.

La rivoluzione in casa Spurs non è finita: nel 2001 arriverà Tony Parker e nel 2002 Emanuel Ginobili. Il terzetto di casa Spurs che avrebbe dominato l’NBA per i successivi anni era stato finalmente composto, e Gregg riuscirà a portare in Texas il titolo nel 2003 (vincendo contro i Nets) nel 2005 (battendo i Pistons) e nel 2007, grazie ad una squadra trascinata dai suoi BIG THREE battendo i Cleveland Cavaliers di LeBron. Negli anni a seguire Gregg e la sua squadra raggiungeranno sempre ai playoff, riuscendo a giungere alle finals del 2013, vinte però dai Miami Heat (da ricordare il tiro fantascientifico di Ray Allen allo scadere di Gara 6). Tornerà alla vittoria con i suoi Spurs l’anno dopo ai danni proprio degli Heat, prendendosi una sorta di rivincita per la sconfitta della stagione precedente. I texani giungeranno ai playoff per tutte le stagioni a venire, fino ad oggi, consacrandosi come una delle squadre più forti, solide e costanti di tutta la lega.

 

Popovich, nel corso di questi anni, si è affermato come uno dei più capaci e vincenti coach di sempre, riuscendo a diventare il quinto coach di sempre per vittorie (1176 partite vinte) e uno dei più vincenti della storia dell’NBA. Il suo palmares vanta: 5 titoli NBA (1999,2003,2005,2007,20014); allenatore dell’anno per ben tre volte (2003,2012,2014); quattro volte allenatore dell’All-Star Game (2005,2011,2013,2016).

Gregg non è però un semplice allenatore, ma è un motivatore, un maestro, un padre, un amico, uno su cui puoi contare, una persona che sa cosa vuol dire sacrificio e sa cos’è l’etica del lavoro, un uomo capace di trovare talenti e farli sbocciare (uno su tutti, Kawhi Leonard, ma come direbbe Buffa: “Questa è un’altra storia”).

Molti odiano lui e il suo gioco di provenienza europea, troppo rigido e poco spettacolare per l’NBA, ma con Pop è così, o lo ami, o lo odi e cerchi di tollerarlo. Ma molto più spesso accade di innamorarsene, per il suo carisma, per la sua professionalità, per il suo modo di fare con i suoi allievi, per come fa pallacanestro, perché semplicemente è Gregg, e tu non ne puoi fare a meno di volergli bene come un padre.

Questo, semplicemente, è Gregg Popovich.

 

Luca Buttitta