Il destino a volte è strano, incomprensibile per certi versi. A volte ci porta a compiere delle scelte, a intraprendere strade a noi ignote, cambiamenti, decisioni. Kawhi fa i conti con il destino da giovane, forse fin troppo: ciò lo porta a scontrarsi in maniera quasi fatale con la realtà. La cosa straordinaria della vita consiste nel fatto che a volte alcuni avvenimenti, positivi o meno, portano dei cambiamenti imprevedibili: è questo il caso di Kawhi Leonard.

Leonard nasce in California, precisamente a Riverside. Passa l’infanzia prevalentemente con la madre e le sorelle, vedendo poco suo padre separatosi qualche anno prima dalla madre. Per Kawhi, però, il papà è un esempio da seguire ed è molto affezionato a lui. Tutto cambierà però il 19 gennaio 2008: Mark Leonard viene assassinato con due colpi di pistola, forse per un regolamento di conti, forse una rapina presso il suo autolavaggio. Kawhi si trova prematuramente privo del padre, modello da un punto di vista etico, una persona con la quale si confidava e della quale si fidava. Da quel 19 gennaio niente sarà come prima: infatti Leonard si chiude in sé stesso, quasi non volendo più comunicare col mondo esterno. Ma è questo dolore che lo cambia, che lo porta a comunicare in maniera diversa: il basket diventa la sua parola, il modo con cui riesce ad esprimersi dando il meglio di sé.

Intraprende l’esperienza cestistica giocando con la canotta della Canyon Springs High School, ma successivamente al decesso del padre si trasferisce alla Luther King High School, ed è proprio qui che Kawhi inizia ad esprimersi giocando, mostrando le sue qualità, portando la sua squadra ad ottimi risultati e attirando l’interesse di numerosi college. La San Diego State teneva d’occhio da un po’ quel prodigio di ragazzo. Infatti Kawhi è speciale, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche fisico: un ragazzone di 201 centimetri, con un’apertura alare sproporzionata e delle mani enormi rispetto al corpo che possiede; da aggiungere a tutto ciò una struttura muscolare quasi perfetta.

Al primo anno alla San Diego State Leonard ha delle medie ottime, con 12.7 punti e 9.9 rimbalzi a partita, venendo inoltre nominato nel 2010 MVP della Mountain Western Conference. La squadra, grazie all’ottimo record di 25-9, si qualifica per il torneo NCAA, ottenendo però scarsi risultati durante il primo anno. Ma sarà durante la stagione successiva che Kawhi riesce a dare il meglio di sé, concludendo l’anno con 15.5 punti e 10.6 rimbalzi, numeri che lo portano a essere uno tra i primi dieci giocatori della nazione, ma soprattutto riuscendo a concludere la stagione con un record di 34-3 e la conseguente qualifica per il torneo NCAA. Questa volta le cose vanno leggermente meglio: gli Aztecs, dopo essere arrivati alla Sweet 16, vengono eliminati per mano della UConn. Dopo due anni di college, Kawhi decide che è il momento di approdare in NBA.

Al Draft del 2011 viene scelto alla quindicesima chiamata dagli Indiana Pacers. I San Antonio Spurs lo tengono sotto controllo da un po’ e lo vogliono a tutti i costi in Texas, tanto che decidono di cedere Grant Hill per accaparrarsi Leonard. Kawhi si ambienta abbastanza bene, grazie soprattutto al rapporto con Popovich, il quale capisce subito che Leonard sarebbe stato capace di grandi cose, una possibile stella per il post-Duncan. Ai San Antonio Spurs Kawhi deve approcciarsi con un nuovo tipo di gioco, poiché Gregg decide di fargli rivestire un nuovo ruolo, affidandogli la parte di campo che si addice ad un’ala piccola (al college Leonard giocava come centro). Ore di allenamento, insieme a molta forza di volontà unita ad un carattere maturo sono gli elementi che l’hanno portato a migliorarsi, diventando una pedina fondamentale nel sistema Spurs.

La prima vera chance per dimostrare il suo talento arriva durante la stagione 2012-2013, quando i San Antonio Spurs riescono ad arrivare alle Finals, dove incontrano gli Heat di LeBron, Wade e Bosh. Ciò che caratterizza Kawhi sono soprattutto le sue capacità in fase difensiva, tali da limitare il gioco di King James: gli Spurs, dopo una serie combattuta, si arrendono a Gara 7. Kawhi però ha ancora un conto in sospeso col destino. Durante la post season decide di allenarsi duramente, migliorando gli aspetti del gioco in cui ancora pecca, soprattutto in fase offensiva.

La stagione 2013-2014 è quella in cui Leonard riesce finalmente a dimostrare tutte le sue potenzialità, affermandosi come nuova stella della squadra: gioca una regular season impeccabile ma, soprattutto, è decisivo durante i Playoff, trascinando gli Spurs alle Finals.

La serie finale rappresenta la consacrazione di quel ragazzo proveniente da Riverside, una serie nella quale Kawhi riesce a giocare un basket, come solo in pochi sanno fare. Qualcosa in lui lo anima e gli dà forza, forse quel dolore che aveva provato durante la tenera età si è fatto sentire nuovamente, lo stesso che l’ha spinto a migliorare. In Gara 4 segna 29 punti con 10 su 13 al tiro, mentre in Gara 5 mette a referto 22 punti e 10 rimbalzi. Il 15 giugno, giorno della festa del papà, i San Antonio Spurs vincono il titolo e Kawhi viene nominato MVP delle Finals: finalmente è riuscito a prendersi la rivincita sul destino, dimostrando a tutti che soltanto con una buona dose di forza di volontà ognuno è capace di superare le proprie difficoltà.  Vincerà nelle stagioni successive per due volte consecutive il titolo di Difensore dell’anno, confermandosi come uno dei più talentuosi e forti giocatori dell’ultimo decennio, uno dei più completi della lega.

Dietro ogni talento, c’è una grande fatica, c’è il duro lavoro, c’è sofferenza, e Kawhi ne è la dimostrazione. Un ragazzo straordinario, diverso dagli altri, si è scontrato con un destino crudele troppo presto, e il destino stesso ha lasciato in lui dei segni indelebili, segni che l’hanno reso l’uomo che oggi consociamo.

Si scrive “FORZA DI VOLONTÁ”, si legge “KAWHI LEONARD”

 

 

Luca Buttitta