Non c’è sport più volubile della pallacanestro NBA. Non è una frase detta a caso, ma è possibile utilizzarla come definizione perfetta per descriverla. Quando si parla di questa lega bisogna sempre pensare all’incredibile organizzazione che vi è dietro, e sapere che nulla è lasciato al caso: basti immaginare alle grandi somme di denaro che girano fra le franchigie ed i giocatori, o all’organizzazione interna di quest’ultime e del loro rapporto con la lega stessa. Tutto ciò è seguito e monitorato, per rendere l’Associazione un motore sempre più perfetto.

Così accade anche per i ragazzi del college, che vengono instradati nel sistema non senza polemiche (vedi il rapporto sportivo college-studente) e poi selezionati dalle franchigie che l’anno prima sono arrivate nelle posizioni più basse. Ciò permette alle squadre di poter ripartire da zero e creare, attraverso il fenomeno del tanking, la squadra che le riporterà nelle posizioni alte e magari competere per il titolo NBA. Questo è ciò che ha compiuto Sam Hinkie, ex GM dei Philadelphia 76ers, costruendo come fatto da Milt Newton a Minnesota, una squadra giovane che col tempo possa trasformarsi in un team vincente.

Una scelta pericolosa, che però ha portato dal 2014 a Philadelphia Joel Embiid, Richaun Holmes, Jahlil Okafor, Timothe Luwawu-Cabarrot, Ben Simmons e Markelle Fultz. Questi ovviamente sono i principali giocatori che da quattro anni a questa parte stanno contribuendo a una rinascita vera e propria di una franchigia che, dopo l’era Allen Iverson si è persa più volte nel tragitto, mescolando anonimato e mediocrità. Ovviamente non c’è una grande squadra che non sia cresciuta nel tempo senza l’apporto di veterani di livello assoluto, e purtroppo negli ultimi anni non hanno fatto la differenza, cosa che invece ha fatto la sfortuna.

Da anni la maledizione dei rookie 76ers ha colpito più volte quasi tutti i giocatori al primo anno di NBA, e l’esempio più eclatante è sicuramente il big man Embiid, fermo ai box per quasi due anni, prima di fare il suo esordio tra i professionisti l’anno scorso. Le abilità e il talento non mancano, esattamente come la sua fragilità fisica che però non sembra condizionare forma e prestazioni. Ben Simmons, nonostante sia stato selezionato con la prima scelta assoluta l’anno scorso, ha fatto il suo esordio quest’anno, dimostrando un carisma ed una bravura fuori dal normale. Una completezza ed una padronanza dei propri mezzi che non ha eguali, ed il paragone con LeBron James che incomincia ad essere sempre più pesante. Terzo in ordine cronologico è Markelle Fultz. Il ragazzo, draftato quest’anno ha cominciato la stagione abbastanza bene, ma ha trovato davanti a sé ancora una volta l’ostacolo spalla, che lo sta ancora costringendo al riposo forzato.

Riprendendo la citazione ad inizio articolo, si può tranquillamente affermare come l’NBA sia lo sport più volubile al mondo. Una lega dove tutte le franchigie hanno la possibilità di formare un roster competitivo, questo perché non vi è una squadra più ricca ed una meno ricca e dove tutte hanno un tetto salariale da rispettare. Ma di grandi nomi per la Free Agency in questi anni Philadelphia non ne ha trovati, ed il motivo è sempre lo stesso: una squadra giovane, forse troppo, ed ancora troppo inesperta per competere.

Nonostante ad Ovest l’egemonia Warriors non sembri avere limiti, Philadelphia lavora per raggiungerla e magari superarla un giorno. Il cuore della città è grande e quando si sente aria di Playoffs questa si scalda e comincia a dare una spinta in più ai 12 in campo.

I ragazzi ci sono: se non oggi, domani.