La storia di Dwight Howard è una delle più note agli appassionati di NBA e non solo, trattandosi di un giocatore piuttosto rappresentativo ed iconico dell’era moderna della pallacanestro a stelle e strisce. Approdato nella lega con l’arduo compito di raccogliere il testimone di Shaquille O’Neal in qualità di centro più forte e dominante, la sua è stata un’avventura contrassegnata da periodi di tanti alti e bassi, accomunati dall’unicità di un giocatore e di un personaggio rimasto sempre fedele a sé stesso e al suo stile di gioco, nel bene e nel male.

 

Prima scelta assoluta del Draft 2004, Howard sembrava poter rappresentare il pilastro su cui costruire un nuovo ciclo vincente e produttivo per gli Orlando Magic, che con la coppia composta da Penny Hardaway e Shaquille O’Neal avevano accarezzato la possibilità di mettere in bacheca il primo titolo della loro breve storia, salvo poi doversi arrendere nelle Finals al cospetto degli Houston Rockets di Hakeem Olajuwon nel 1995.

 

Howard ci metterà ben poco ad adattarsi alla lega, tanto da trascinare i suoi alle Finali 2009, perse 4-1 contro i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant, per poi accarsi proprio ai Lakers nel 2012, andando a formare un superteam con lo stesso Kobe, Pau Gasol, Steve Nash e Metta World Peace, ma i gialloviola non riusciranno ad andare oltre il primo turno dei playoff, perdendo con un netto 4-0 contro i San Antonio Spurs di Gregg Popovich.

 

Dopo tre anni piuttosto altalenanti con la maglia degli Houston Rockets al fianco di James Harden, Howard torna nella sua città natale, Atlanta, vivendo una stagione decisamente burrascosa con gli Hawks, esperienza contraddistinta da un rapporto mai del tutto sbocciato con l’ambiente e soprattutto con coach Mike Budenholzer, tanto da essere scambiato dopo appena un anno, nell’ambito della trade con gli Charlotte Hornets che ha portato Marco Belinelli e Miles Plumlee in Georgia e Superman in North Carolina.

 

Tra i tanti momenti degni di nota della sua carriera, impossibile non citare la vittoria dello Slam Dunk Contest all’All-Star Weekend 2008 tenutosi a New Orleans, in cui trionfò battendo la concorrenza del campione uscente Gerald Green con una poderosa e spettacolare schiacciata eseguita con indosso un vestito da Superman, che lasciò a bocca aperta tutti i presenti e gli valse il soprannome che tuttora, nonostante un graduale ma inesorabile declino, continua ad essergli frequentemente affibbiato.

 

La stagione attualmente in corso non è stata particolarmente memorabile per gli Charlotte Hornets, incapaci di dire la loro in ottica playoff nonostante la presenza in quintetto di due giocatori del calibro di Kemba Walker e dello stesso Dwight Howard. La squadra di proprietà di Michael Jordan è attualmente decima in classifica ad Est con 31 vittorie e 41 sconfitte ad undici gare dal termine della regular season.

 

32 anni compiuti lo scorso 8 dicembre, Howard sta vivendo un’annata piuttosto significativa per ciò che concerne le prestazioni individuali, tanto da viaggiare a medie di 16,6 punti, 12,2 rimbalzi, 1,3 assist, 0,6 palle recuperate e 1,7 stoppate per partita, con il 55,4% al tiro. Per ciò che concerne media punti e stoppate per gara, era dal 2013-2014 che il classe ’85 non faceva registrare numeri del genere: in quel caso, con la maglia degli Houston Rockets, chiuse l’annata con 18,3 punti e 1,8 stoppate per partita.

 

Dopo aver dato il meglio di sé nelle sfide contro gli Atlanta Hawks, tanto da portare il suo ex compagno Dennis Schroder a sostenere che il nativo di Atlanta si impegni particolarmente contro le sue ex squadre, Howard ha messo in mostra il meglio del suo repertorio nella recente vittoria per 111-105 in casa dei Brooklyn Nets. Al Barclays Center, infatti, Superman ha messo a referto una doppia doppia da ben 32 punti e 30 rimbalzi, stabilendo il suo career high di rimbalzi catturati in una partita e risultando il primo giocatore a far registrare un 30+30 dai 31 punti ed altrettanti rimbalzi di Kevin Love nella sfida tra Minnesota Timberwolves e New York Knicks del 12 novembre 2010.

 

Traguardi del genere fanno riflettere e non poco gli estimatori del possente centro 32enne e, più in generale, gli amanti della pallacanestro made in USA, con un interrogativo in particolare che in tanti si pongono: cosa sarebbe potuto essere Dwight Howard se solo avesse abbinato al suo fisico dominante un carattere imperturbato? Difficile trovare una risposta concreta a questa domanda, quel che è certo è che, nonostante i problemi fisici, il progressivo declino e l’atteggiamento spesso fumantino ed irrequieto che non l’ha di certo aiutato, Howard continua ad essere uno dei migliori nel suo ruolo e ad entusiasmare non soltanto chi non ha mai smesso di credere in lui, ma anche e soprattutto tutti coloro che amano questo sport e le storie romanzesche che solo esso sa regalare, proprio come la vicenda di uno dei giocatori più amati e al contempo discussi di sempre.