“Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.”
Appena si nominano i Milwaukee Bucks la mente va subito al “nostro” Giannino di quartiere. Eppure, nella macchina perfetta costruita da Mike Budenholzer, spesso ci si dimentica di citare il grande lavoro del “Presidente” Malcolm Brogdon.
Il ROY 2017 sta viaggiando a cifre impressionanti, ma tra le statistiche quello che salta agli occhi è il 98.8% dalla linea della carità. Insomma, al campetto, state sicuri che lui gioca di sicuro. Quello che colpisce di Malcolm però è la sua storia. Non la solita storia fatta di povertà e criminalità, ma al contrario.
Nasce nel dicembre del ’92, ad Atlanta, da Mitchell Brogdon Jr. e Jann Adams. È l’ultimo di tre fratelli. La sua è una famiglia ricca. Il padre è un avvocato e la madre una stimata psicologa e dottoressa, non gli ultimi scappati di casa. Brogdon riceve una forte educazione e disciplina.
All’età di 10 anni, durante il periodo di Natale la sua famiglia organizza un viaggio in Ghana. I genitori sono molto credenti, suo nonno è un pastore ed ha un dottorato in teologia. Quel viaggio cambierà gli cambierà la vita. Malcolm, da piccolo amava il calcio. Ad Accra, si rese conto di quanto era differente la sua vita rispetto ai suoi coetanei ghanesi, e di quanto egli potesse ritenersi fortunato. I bambini lì giocavano tra l’immondizia e tiravano calci ad un pallone fatto con stracci, ma la cosa che più lo sconvolse fu la mancanza di cibo. “Da piccolo, non vuoi rinunciare al tuo cibo, ma poi ti rendi conto che sono davvero affamati e in realtà non hanno niente. Nessuno dovrebbe vivere così. Non è giusto.” Malcolm di ritorno dall’Africa decide di dedicare la propria vita ad aiutare gli altri, ma non era sicuro di come avrebbe fatto.
Nel frattempo, si concentrò su scuola e sport. All’età di 11 anni, poco dopo quel viaggio in Ghana, i suoi genitori si separano. Nonostante questo fulmine a ciel sereno, Brogdon è convinto a portare avanti le sue idee. Sin dai primi anni dell’infanzia si vedeva che era il più serio tra i tre. Decide di lasciare il calcio e dedicarsi completamente al basket. Negli sport è il più portato della famiglia, a scuola, grazie anche al sostegno sempre presente di Adam, la mamma, ha un’ottima media. “Quando decise che questo era il percorso per lui, si è impegnato completamente. Ha mangiato, dormito e ha respirato basket.” Sveglia alle 5:30 per fare colazione, allenamento con un personal trainer, poi scuola. Dopo la scuola, allenamento, e poi di nuovo ore e ore di tiri prima di rientrare a casa per fare i compiti e guardare il basket in TV. This was Malcolm Brogdon’s daily routine. Così fino al college. Tutti i giorni.
Le offerte non si sprecano ad arrivare. Il nonno, il famoso pastore, vuole mandarlo ad Harvard, ma “il presidente” sceglie Virginia, capace di offrire un’ottima combinazione tra sport e educazione. Lì rimarrà per i 5 anni canonici, la mamma era “preoccupata” per la sua istruzione. Si laureerà, Adam, tranquilla. Un bachelor in storia, per poi proseguire con un master in politica pubblica. Nell’ultimo anno vincerà svariati premi, e l’università poi ritirerà anche il suo numero di maglia. (#15). Dal college all’NBA, la sua storia la conosciamo un po’ tutti. Scelto alla #36 dai Bucks, nella sua prima stagione gioca 75 delle 82 partite della regular season, la maggior parte subentrando dalla panchina. A fine stagione vincerà il ROY, non che ci fosse tanta competizione con mezzo draft infortunato. Sarà il primo rookie, dal ’66, scelto al secondo round a vincere il premio. Il primo, insieme ad un certo KAJ, aka “The Tower Of Power”, a vincere il ROY per i Bucks.
“È il culmine di molti sacrifici e questo premio va alle persone speciali che hanno creduto in me, a cominciare da mia madre.”
Brogdon era destinato ad essere uno dei più grandi avvocati, medici, o luminari in America. Malcolm, però, ha guardato in faccia al suo destino e ha deciso di cambiarlo diventando altro. È sempre stato e per sempre sarà grato a sua madre Adam e alla sua famiglia, che gli hanno insegnato i valori fondamentali e le priorità da seguire. Doveva essere, ma lui ha deciso un altro cammino. Oggi “il presidente” è il leader silenzioso di una squadra alla conquista dell’Est, con in casa un più che papabile candidato MVP. Chissà se riuscirà, e riusciranno ancora a stupirci lui e questi Bucks, per il momento però lui è lì che si allena già per il dopo carriera. Con il 98% ai liberi di sicuro non rimarrà seduto a guardare al campetto.
“Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.”
Giuseppe La Gatta