Arrivati a metà stagione, è il momento ideale per fare un resoconto generale della situazione anche della Western Conference, dove a brillare sono soprattutto OKC e Memphis.
Ma partiamo dalla squadra che occupa la prima posizione, i Los Angeles Lakers (43-12), completamente rivitalizzati dall’arrivo di Davis.
James ha fatto di tutto per di convincere la società a prendere l’ex NOLA, e ora capiamo il perché. Grazie all’arrivo di AD, LeBron sta sfornando assist a profusione.
Inoltre, può permettersi qualche minuto di riposo in più – il dato dei minuti giocati in media quest’anno dall’ex Cavs è il più basso di tutta la sua carriera – e questo gli permetterà di arrivare carico ai playoff.
Quei playoff che sia LBJ che AD non vedono l’ora di giocare, visto che l’anno passato li hanno visti alla tv. Prepariamoci, quindi, perché con loro in campo ai playoff ne vedremo delle belle.
Ma in generale è tutta la squadra ad aver fatto un deciso passo avanti rispetto a un anno fa. Per esempio, alla pausa per l’ASG di un anno fa, l’offensive rating di LA era di 107.5, quest’anno è di 113.4, il migliore della lega.
E ancora, il def.rat. è di 106.3, contro il 108.4 di un anno fa. Inoltre, insieme ai Bucks, sono la squadra che ha subito meno sconfitte esterne, solo 5 in 28 partite.
Anche la panchina sta dando un ottimo contributo. Caruso porta entusiasmo e carica, Rondo è sempre un grande assistman e un giocatore d’esperienza.
Ma soprattutto c’è Howard, giocatore che, dopo anni di niente, ha deciso di tornare a giocare li dove era iniziata la sua fase discendente.
Ed è proprio qui che l’ex Orlando sta tornando a essere un giocatore importante.
Ma già dall’estate si vedeva che Howard era cambiato. Giocare con campioni del calibro di LBJ, di Davis e di Rondo lo ha caricato, gli ha consentito di mettersi alle spalle i suoi ultimi anni.
Le sue statistiche sono queste: in 19.7 minuti giocati, ha 7.7 punti, 7.8 rimbalzi, 1.3 stoppate, +/- di +2.9. Durante i playoff ci sarà anche lui, perché sa che questa è l’ultima chance che ha per vincere il titolo.
I Lakers, dopo anni di buio totale, sono pronti a tornare ai playoff e per tornare e anche a vincere il titolo. Possono vincerlo perché hanno una squadra da titolo e perché hanno tre fenomeni, due in campo e uno in cielo.
Già, perché vincere il titolo sarebbe il modo giusto per onorare ancor di più il grande Kobe. Che anche da lassù darà una grande mano ai gialloviola affinché riescano a centrare l’obiettivo.
I Lakers hanno un discreto margine sulla seconda, ma il calendario, specie nella prima metà di marzo, presenta qualche difficoltà.
Alle spalle di LeBron e compagni ci sono i Denver Nuggets (38-18). Jokic e compagni stanno disputando una buonissima regular season, visto che sono davanti a squadre più quotate come Clippers e Houston.
La dirigenza, come quella dei Bucks, ha scelto di confermare in blocco il roster che lo scorso anno ha terminato seconda a Ovest dietro solo a Golden State.
Anche in questo caso, la scelta è stata azzeccata. Anche perché i giocatori ormai si conoscono benissimo, sono quasi tutti giovani e possono giocare almeno per 7-8 anni a questi livelli.
Tra l’altro, la società ha provveduto a blindare alcuni di essi. Jokic ha ancora tre anni di contratto, Murray cinque, Harris due. Il contratto di Grant scade la prossima estate, ma tutto fa pensare che verrà allungato.
Questa squadra può confermarsi sui livelli mostrati la scorsa stagione, ma per puntare al titolo manca ancora qualcosa. Ma comunque i tifosi possono stare tranquilli.
Jokic – che ha recentemente dichiarato di aver perso 11 kg quest’anno – è ormai una stella della NBA, e a breve, assieme a Murray, saranno in grado di trascinare la franchigia verso il primo titolo della storia.
Nuggets che al momento sono braccati dai Clippers (37-18), distanti solo una vittoria. Ma i Clippers devono ancora recuperare il derby con i Lakers, e hanno un calendario meno complicato.
I Clippers sono in assoluto i favoriti per il titolo, perché hanno due giocatori devastanti in tutti e due i lati del campo e perché hanno la panchina più producente della lega.
A Ovest sono la squadra che in media cattura più rimbalzi difensivi (37.1). Inoltre, con una media di 115.9 punti a partita, sono il terzo miglior attacco della lega dietro Bucks e Rockets.
Dopo l’incredibile qualificazione ai playoff dello scorso anno, il gm, visto lo spazio salariale, ha deciso di tentare il grande salto, firmando Leonard e George.
Leonard sta disputando una grande stagione. L’MVP delle ultime finali, in 32 minuti di media, ha 27.2 punti, 7.5 rimbalzi e 5.3 assist, +/- 7.6. Il def.rat. (104.3 contro il 106.7 della squadra) è il migliore della sua carriera.
Poi, si sa, quando il livello generale si alzerà, Kawhi e George cominceranno a far vedere a tutti di che pasta sono fatti.
E saranno accompagnati da quelli che l’anno scorso hanno condotto la squadra ai playoff, ovvero Shamet, Beverley e il duo Harrell–Williams, che con l’arrivo di George e Leonard hanno alzato ancor di più il loro livello.
Da non dimenticare, poi, l’arrivo a gennaio di un giocatore d’esperienza come Morris, la presenza in panchina di Rivers e la “vulcanità” di Ballmer.
Questa squadra è costruita per vincere subito, perché i due fenomeni saranno entrambi free agent nel 2021, così come Williams, mentre Harrell sarà free agent già la prossima estate.
Al quarto posto troviamo gli Houston Rockets (36-20), che, come le due squadre di L.A., ha un solo obiettivo: vincere il titolo. Se non ci riuscisse, la stagione sarà considerata fallimentare.
La trade Westbrook–Paul sta cominciando a portare qualche beneficio anche in Texas. Russ si sta ambientando sempre di più nel nuovo contesto, e la convivenza con Harden sta piano piano migliorando.
Nel momento in cui il Barba ha battuto un po’ la fiacca, Brodie ha fatto vedere di che pasta è fatto.
Nel mese di gennaio, infatti, l’ex OKC aveva queste medie: 32.6 punti, 8.5 rimbalzi e 8.1 assist, tirando col 52.7% dal campo. Una volta che Harden è tornato ai suoi livelli, RW0 ha comunque mantenuto ottime medie.
I Rockets hanno il secondo miglior attacco della NBA dopo quello dei Bucks (118.5 punti a partita), e sono la squadra che segna da più da tre durante una partita (15.4).
Durante i primi giorni di febbraio la dirigenza ha deciso di cedere Capela, e di abbassare il quintetto, ma la decisione si sta rivelando azzeccata.
Dalla cessione dello svizzero, infatti, i Rockets hanno vinto quattro partite su sei – due anche importanti, contro Boston e Lakers – e stanno tirando col 45% dal campo e col 37% da tre.
Al suo posto sono arrivati Covington, Green e Carroll. Sono tutti e tre dei buoni tiratori, quindi vanno bene per il gioco di Houston.
Ma non sono dei veri lunghi, quindi, per la squadra di D’Antoni, d’ora in avanti sotto canestro ci sarà da soffrire.
Con questi innesti, il gioco dei Rockets diventa ancor più prevedibile: se la palla ce l’ha Harden, o tira in step back, o penetra per poi scaricare negli angoli per i tiratori.
Se la palla ce l’ha Russell, o va direttamente al ferro grazie alla sua esplosività, o anche lui scaricherà la palla negli angoli per i tiratori.
Tra l’altro, vincendo stanotte contro Utah – partita nella quale la coppia Barba–RW0 ha messo a referto 72 punti totali – Houston si è ripresa in quarto posto.
Se la regular season terminasse oggi, le due squadre si riaffronterebbero al primo turno, con il fattore campo sempre a favore di Houston.
Utah (36-20) sta comunque disputando un’ottima stagione, e in caso di nuovo confronto con i Rockets al primo turno, non partono molto sfavoriti, almeno non come lo scorso anno.
L’anno scorso, alla pausa per l’ASG, erano sesti, con un roster che era si da playoff ma che non poteva arrivare più in la del primo turno.
Per fare il grande salto era necessario aggiungere due realizzatori, e così i Jazz hanno firmato prima Conley e poi Bogdanovic dalla free agency.
Quest’ultimo non era la prima scelta. I Jazz erano interessati soprattutto a Tobias Harris e poi a Mirotic. Vista l’impossibilità di arrivare a questi due, la dirigenza ha ripiegato sul croato.
Che però, insieme a Conley, sta facendo benissimo. L’ex Memphis ha voluto fortemente andare a Utah e alla fine c’è riuscito.
Dopo aver firmato Conley, i Jazz si sono dovuti liberare di Rubio – andato a Phoenix – ma la scelta ha pagato. Perché Utah ha migliorato molto la sua media punti rispetto a un anno fa (111.3 vs 109.2).
Inoltre, le percentuali al tiro da tre sono nettamente cresciute (34.6 vs 38.7), e questo lo deve a Bogdanovic, Ingles e Clarkson.
L’ex Cavs, nella partita vinta contro Miami, ha messo quattro triple su sei, mentre Ingles, nonostante sia in leggera flessione rispetto a un anno fa, rimane un buonissimo tiratore dalla lunetta.
Da non dimenticare, poi, Mitchell e Gobert, entrambi convocati all’All-Star Game. Il primo è in costante crescita nella percentuali di tiri liberi segnati (86.1% contro il 79 di un anno fa).
Il francese, poi, è quello che, in stagione, ha la percentuale di tiri segnati dal campo più alta di tutta l’NBA (68.9%). Inoltre, è il secondo miglior rimbalzista della lega (14.6 a partita), ed è quarto nella classifica dei migliori stoppatori a partita (1.9).
Al sesto posto ci sono gli Oklahoma City Thunder (34-22), che nessuno si aspettava di vedere così in alto a inizio stagione.
Dopo la cessione di Westbrook per Paul e di George per Gallinari e Alexander, tutti pensavano che OKC fosse già fuori in partenza dalla lotta per la postseason.
In più, la dirigenza era già pronta in questa sessione a cedere Paul, Gallo e Adams alla prima squadra interessata, così da iniziare il processo di rifondazione della squadra, viste anche le tante scelte al primo giro acquisite.
Ma la squadra, dopo un inizio non proprio scintillante (nelle prime cinque partite ha vinto una sola volta), ha iniziato piano piano a ingranare. 10-4 il record nel mese di dicembre, 17-7 il record nel 2020.
Paul sta facendo vedere a tutti che sa essere ancora decisivo, mentre Adams si sta facendo sentire molto a rimbalzo difensivo
Da non dimenticare Gallinari e Alexander. Il primo, dopo anni di attesa, sta mostrando a tutti che può competere ad alti livelli, come dimostrano le statistiche di questi ultimi due anni.
Shai, invece, nonostante sia un classe 1998 e nonostante sia solo al secondo anno in NBA, è uno dei giovani più interessanti della lega. L’anno scorso, con i Clippers era praticamente il sesto uomo della squadra.
Ciò nonostante, ha concluso la serie con i GSW con 13.7 punti, 2.7 rimbalzi e 3.2 assist, giocando all’incirca 28 minuti a partita. Quest’anno è titolare fisso, gioca in media 35 minuti, e ha 19.3 punti, 6.1 rimbalzi e 3.3 assist.
Se a inizio stagione il futuro dei Thunder sembrava molto scuro, ora è invece molto più chiaro, grazie al giovane Shai, a Gallinari e alle tante prime scelte protette ai prossimi Draft.
L’assalto al quarto posto non è impossibile, ma devono stare attenti ai Mavs settimi (34-22), che hanno un calendario migliore rispetto a OKC.
A guidare la macchina di Carlisle c’è un fantasmagorico Doncic. 29 punti di media, conditi da 9.6 rimbalzi e 8.6 assist. Ma questi dati non bastano a far capire la grandezza dello sloveno.
Grazie al suo immenso talento, attrae su di se tutta l’attenzione delle difese avversarie, liberando così i vari Porzingis, Curry, Hardaway per i tiri da tre.
Se non viene raddoppiato, è in grado di battere qualsiasi difensore, anche quelli più esperti. Può penetrare, può tirare in step-back, o anche dal mezzo angolo. Insomma, può fare tutto.
L’anno scorso ha vinto il ROTY, quest’anno può vincere l’MVP, a soli 21 anni. Se ci riuscirà, sarà il più giovane giocatore ad aver vino questo premio (record che attualmente appartiene a Rose).
Porzingis, poi, dopo il brutto infortunio, si sta riprendendo. E’ lui il secondo violino della squadra, mentre il terzo è Hardaway.
Da non dimenticare, poi, l’apporto dei giocatori in uscita dalla panchina come Curry, Brunson e Kleber. I Mavs, infatti, hanno la sesta panchina più producente della lega (41.5), la terza a Ovest dietro Spurs e Clippers.
Memphis (28-28) è, insieme a OKC, la squadra più sorprendente a Ovest, specialmente se si considera il livello della Western Conference.
Un anno fa i Grizzlies erano penultimi a Ovest, lontani anni luce dai playoff, con anche la grana della cessione di Gasol a Toronto.
Quest’estate, poi, hanno ceduto pure Conley, e avevano in rosa un giocatore – Iguodala – che non vedeva l’ora di essere ceduto a un top team. Tutto faceva pensare, quindi, a una squadra in fase di ricostruzione.
E invece sta succedendo una cosa incredibile: la squadra è si in fase di ricostruzione, ma occupa l’ultimo posto buono per giocare la postseason, e ha un buon vantaggio sulle inseguitrici.
Buona parte del merito va al rookie Morant, che sta disputando una fantastica stagione d’esordio, ed è il favorito per vincere il premio come ROTY.
Tira col 35.5% da tre, col 50% dal campo e col 78% ai liberi. Segna in media 17.6 punti – in 29.9 minuti – conditi da 6.9 assist e 3.4 rimbalzi.
Ha un’esplosività fuori dal comune – paragonabile solo a quella di Westbrook – e i video delle sue schiacciate stanno facendo il giro del mondo.
Ma se i Grizzlies stanno così in alto, parte del merito va anche ai suoi compagni, ad esempio Jackson, ma anche Anderson, Valanciunas e Brooks.
Jackson, dopo una prima stagione così così, sta facendo bene quest’anno – 16.9 punti in 28 minuti – mentre Valanciunas porta punti importanti e esperienza in un gruppo giovane.
Anderson e Brooks hanno entrambi un +/- negativo – -0.8 il secondo, -2.1 il primo – ma comunque danno solidità alla squadra in entrambe le fasi.
Ma Memphis il calendario più complicato di ogni squadra della lega, visto che devono affrontare, tra le altre,Toronto, Boston, e Milwaukee.
Subito dopo Memphis c’è la squadra più deludente della Western Conference, i Portland Trail Blazers (25-32), che hanno anche recentemente perso lo scontro diretto con Morant e compagni.
Inizialmente, i Blazers, considerato anche il clamoroso risultato ottenuto la scorsa stagione, erano dati tra le prime cinque/sei squadre a Ovest, con tutte le possibilità di rigiocare le finali di conference.
Ora, invece, si trovano nettamente dietro rispetto alle squadre top della lega, e nettamente dietro anche a OKC e Memphis, squadre che, almeno all’inizio, sembravano fuori anche dalla lotta playoff.
Più che altro, è stata la parte iniziale della stagione quella in cui i Blazers hanno raccolto più delusioni, 6-12 il record nelle prime 18 partite, 15-19 quello fino a capodanno.
Lillard sta disputando l’ennesima grande stagione, le sue statistiche sono in crescita sotto tutti i punti di vista. Ma è proprio quello che è considerato il secondo violino della squadra che sta deludendo, McCollum.
Il numero 3 di Portland, nonostante giochi di più in media rispetto allo scorso anno, ha un rendimento in calo, com’è testimoniato dal +/- attuale – -0.9 – e quello dello scorso anno, +5.
Carmelo, considerando che è da un anno che non gioca, sta giocando bene, così come Whiteside, che sembra aver trovato l’ambiente giusto dove poter sfondare.
Ma per poter tentare l’assalto alla postseason serve anche l’apporto della panchina, e in questa statistica Portland è penultima (27.2 punti, solo Houston fa peggio con 26.9).
Dietro Portland ci sono i San Antonio Spurs (24-31), squadra da cui ci si aspettava di più, vista la tradizione della franchigia, che si qualifica per i playoff da più di 20 anni.
Il vero problema per coach Pop e compagni è che non sono mai riusciti ad avere continuità, infatti non hanno mai ottenuto più di tre vittorie di fila finora.
Murray è ormai una certezza, rappresenta il futuro della franchigia (10.6 punti in 24.8 minuti). DeRozan, nonostante le voci che lo vogliono lontano dal Texas, tira col 53.2% dal campo, dato più alto della sua carriera.
Peccato che Aldridge non stia disputando una grande stagione, com’è testimoniato dal dato dei rimbalzi di media a partita, 7.6, il secondo più basso da 10 anni a questa parte per l’ex Blazers.
Sacramento (23-33), Minnesota (16-38) e Phoenix (23-34) non possono fare molto più di così. Però, per quanto riguarda i Kings, ci si aspettava di vederli un po’ più vicini all’ottavo posto.
Minnesota, invece, paga la scelta fatta in estate di far rinnovare Wiggins, giocatore forte ma discontinuo e che ora è andato ai Warriors. Anche Towns ha rinnovato, ma non sta dimostrando di valere quei soldi.
I Suns, invece, nonostante siano lontani – ma non troppo – dai playoff, hanno fatto registrare un netto miglioramento rispetto a un anno fa.
Conclusero la regular season con sole 19 vittorie, quest’anno già sono a 23, cinque in meno di Memphis, con un calendario complicato ma non come quello dei Grizzlies.
Oubre, Booker e Ayton rappresentano il futuro della franchigia, un futuro che si prospetta roseo per una squadra che non si qualifica ai playoff dal 2010.
Quest’estate, poi, sono arrivati sono Saric e Rubio, entrambi giocatori d’esperienza, il primo ottimo tiratore, il secondo grande passatore.
Da non dimenticare, poi, anche i New Orleans Pelicans (24-32), che da quando è rientrato Williamson hanno vinto sei partite, alcune molto importanti come la doppia vittoria contro Portland.
Zion è la prima scelta più attesa dai tempi di LeBron, e non sta deludendo le aspettative: 22.4 punti, 7.3 rimbalzi, 2.5 assist, tira col 58% dal campo e col 36% da tre.
Ma non c’è solo lui. C’è anche un Ingram che finalmente sta facendo vedere tutta la sua bravura, come mai aveva fatto negli anni a L.A.
L’ex Lakers ha grandi medie, e per l’MIP c’è anche lui. Basti pensare che l’anno scorso tirava col 33% da tre, quest’anno col 40% abbondante.
Ma anche gli altri giocatori entrati nella trade che ha portato Davis a Los Angeles – ovvero Ball e Hart – stanno facendo bene. Entrambi, forse, dovevano andare a giocare per una squadra un po’ meno glamour per far bene.
Da non dimenticare, poi, l’apporto importante in uscita dalla panchina del nostro Melli: gioca in media 15 minuti, e ha 6.3 punti e 2.8 rimbalzi. Tira col 37% abbondante da tre.
Per i playoff ci sono anche loro, considerando anche il fatto che hanno il calendario più facile di tutta la lega.
Come fatto per l’Est, completa questo excursus sull’andamento della W.C. la squadra che occupa l’ultima posizione, i Golden State Warriors (12-44).
Dopo il triplo addio di Durant, Iguodala e Livingston si sapeva che la musica sarebbe cambiata quest’anno in casa Warriors, visto anche l’infortunio di Thompson.
Per far fronte alla sua assenza si è deciso di puntare su Russell, che nonostante non abbia fatto male, in quest’ultima sessione di mercato è stato scambiato con Wiggins.
A complicare le cose, poi, ci si è messo l’infortunio occorso a Curry, il che ha tagliato definitivamente le gambe ai vincitori di tre degli ultimi cinque titoli.
Le due superstar torneranno l’anno prossimo, in casa Warriors quindi c’è solo da scontare questo anno di transizione per poi tornare ai vertici della conference dal prossimo ottobre.
Quando avranno Curry e Thompson riposati, quando Wiggins si sarà definitivamente inserito negli schemi della squadra e quando potranno pescare una scelta al primo del prossimo Draft.
Lì, allora, la musica cambierà in maniera positiva, e i Warriors torneranno a far paura al resto della lega.
Quest’anno, infine, il dislivello tra le due leghe sembra ancora più accentuato, vista la distanza di vittorie c’è tra la prima e l’ottava a Est e la prima e l’ottava a Ovest.
Milwaukee ha 24 vittorie in più di Orlando, i Lakers 15 in più di Memphis.
In generale, per trovare una squadra a Ovest che ha almeno 24 vittorie in meno dei Lakers bisogna scendere fino al 14esimo posto occupato da Minnesota.
A Est, invece, la prima squadra che ha almeno 14 vittorie in meno dei Bucks è Philadelphia, che occupa la quinta piazza.